Tutto il mondo è attore Il nuovo saggio di Richard Sennett tra guizzi e cliché

Nelle Lettere Persiane (1720), Montesquieu immagina che un colto persiano visiti la Francia e si meravigli delle rozzezze dei nativi, chiamati “francesi”. A Parigi si reca alla Comédie Française, in un luogo chiamato “teatro”, e rimane molto perplesso. Più di quello che succede sulla scena, lo colpisce quel che accade nei palchi, dove “si vedono degli uomini e delle donne che rappresentano insieme delle scene mute .. Tutte le passioni sono dipinte sui visi ed espresse con un’eloquenza che, essendo muta, è ancora più viva. Gli attori non vi appaiono che a mezzo busto”.Con questo abile espediente di straniamento antropologico, Montesquieu qui rendeva omaggio a quello che si era già da tempo costituito in un vero e proprio topos: l’idea che, ben al di là dei luoghi ad esso deputato, il teatro sia ovunque, che tutta la vita sia una recita ininterrotta, dove ognuno di noi interpreta più parti.
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