Il risveglio del vino armeno | una rivoluzione tra storia e geopolitica

Sarà che gli armeni sono un popolo che ha vissuto il peggio - il genocidio del 1915, la dittatura sovietica, la perdita del Nagorno Karabakh; una ferita recente – ma l’energia che emana dal mondo del vino cresce, sale, monta e non si arrende neanche davanti ai cortocircuiti della storia. In cinque anni il settore è letteralmente esploso: piantare una vigna, aprire una cantina, produrre vino, farlo degustare e accogliere i turisti è diventato un investimento remunerativo; oltre che figo, moderno, occidentale e di tendenza. Lo sanno bene nella capitale Yerevan dove spopolano i winebar come Invino, 600 etichette armene; il Decant WineShop&Bar, un localino più intimo su Moskovyan street, cuore della movida; e il Mov, ristorante di design con bella carta di etichette autoctone. Un patrimonio millenario tra rischi geopoliticiLa matematica, si sa, non è un’opinione: in Armenia il numero di cantine è sestuplicato, erano 25 nel 2019 e già 150 a settembre 2024; sempre che nel frattempo non siano spuntati altri “funghetti”.
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