A 16 anni piccoli per Facebook e già grandi per votare?

A soccorrere il liberale (anche quello moderno) che voglia giustificare – senza rinnegare sé stesso – il ricorso a un nuovo divieto viene sempre John Stuart Mill, secondo cui  l’“unico scopo per cui il potere può essere esercitato legittimamente sulla comunità, contro la volontà di un individuo, è quello di impedire che danneggi gli altri”. Ed è la cronaca a raccontarci che l’abuso, l’uso distorto inconsapevole nelle piattaforme social da parte delle bambine dei bambini, ha creato frequentemente danni a loro stessi e ai loro coetanei. Ma siamo proprio sicuri che il divieto di accesso alle piattaforme (con qualche eccezione, che vedremo) per gli under 16 approvato dall’Australia  e che qualcuno vorrebbe “importare” anche in Italia sia adeguato per risolvere le storture, veramente applicabile e – anche dal punto di vista morale, oscurantista – l’unica soluzione possibile? Certo, erano belli i tempi della via Gluck quando i bambini giocavano a pallone nei campi a Milano, ma le piattaforme hanno cambiato il modo di informarsi e anche di imparare, consentito di confrontarsi con lingue, culture e realtà molto diverse, reso i nostri figli molto più consapevoli.
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