Il Mondiale in Arabia e il senso distorto di Infantino per la democrazia

Serenamente post-democratici. La Fifa di Gianni Infantino continua a disegnare una sua geopolitica, incurante della qualità dei regimi politici e dello stato dei diritti umani nei Paesi che ospitano la fase finale dei Mondiali di calcio. La sua attrazione fatale per la penisola araba ha portato il presidente a spostare le mire dal Qatar all’Arabia Saudita, per la cui candidatura Infantino si è esposto in modo a tratti imbarazzante. Non è più un mistero il suo tentativo di settembre 2020, quando si spinse a fare pressioni sul premier italiano Giuseppe Conte affinché, a sua volta, intervenisse sulla riottosa federazione italiana che di mettersi in associazione coi sauditi per candidarsi a ospitare il Mondiale 2030 non voleva proprio saperne. Erano mesi complicati, c’era da tenere a bada la bulimia del principe ereditario Mohamed bin Salman, che per il 2030 (anno in cui va a compimento il programma strategico Vision, che mira a consegnare il regno saudita allo status di potenza politica e culturale globale di prima grandezza) voleva piazzare una doppietta clamorosa: Mondiale di calcio più Expo.
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