L’algoritmo di Babele o le radici antiche dell’IA Un libro

Il dibattito attorno all’intelligenza artificiale è più denso di preoccupazioni che di speranze, al punto che non di rado capita, dopo lunghe discussioni sui suoi pericoli e possibilità distorte di utilizzo, che qualcuno esordisca esprimendo sorprendente entusiasmo con un: “Ma sai che l’ho provata? Ma sai che non è male? Ma sai che funziona? Sì non è perfetta, ma in fondo.”. E spesso chi l’ha provata si riferisce a ChatGPT che non è certo sinonimo onnicomprensivo di intelligenza artificiale, tanto più se utilizzata come una forma evoluta di Wikipedia. Non è da sottovalutare l’effetto straniante e di sconvolgimento che lascia attoniti, ma è bene provare a fare dei passi indietro e riflettere sulla genesi dell’intelligenza artificiale, riscoprendone un percorso intellettuale che non è calato all’improvviso dal cielo come frutto di qualche isolata mente tanto geniale quanto misantropa, ma è il punto di caduta di un’evoluzione che parte molti anni fa, addirittura da Omero.
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