La retorica terzomondista sui curdi ignora i terroristi narcotrafficanti del Pkk

Il terzomondismo, l’attesa messianica di una punizione dei troppi mali dell’Occidente innescata da popoli periferici immuni dal peccato, è una sindrome dura a morire. Dopo tante cocenti disillusioni, questa sindrome si incarna in una simpatia generale nei confronti del popolo curdo. Kobane e Rojava evocano così simpatia, recriminazioni, entusiasmi. Nulla di male. Nel frattempo, è bene però fare chiarezza sul tema. Quantomeno per far sì che l’ennesima disillusione non sia cocente. E per fare chiarezza è bene basarsi sui fatti, il che obbliga a una conclusione: la questione curda è piena di chiaroscuri e di zone d’ombra.Il primo dato oscuro che balza agli occhi, ipocritamente oscurato dai tanti media simpatizzanti per Kobane e il Rojava, è che questi costituiscono il santuario in cui trova riparo, protezione e complicità, una forza terrorista che conduce una dissennata guerriglia del terrore, e che per di più è narcotrafficante: il Pkk, il partito curdo della Turchia, responsabile di una dissennata attività terroristica dal 1984 a oggi, che ha fatto non meno di quarantamila vittime, turche e curde.
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