Il nostro problema ha un nome Oriana Fallaci ce lo aveva detto

Un primissimo piano di Oriana Fallaci Quando Oriana Fallaci nel settembre del 2001, pochi giorni dopo l'attentato alle Torri Gemelle, scrisse sul Corriere della Sera un testamento profetico, liberando un fiume in piena che dipingeva un declino, il nostro, e l'ascesa dell'Islam in Occidente; quando raccontò della sua Firenze sfregiata dall'indifferenza, quando descrisse l'avanzata islamica sul «sagrato della Chiesa di San Lorenzo dove si ubriacano col vino e la birra e i liquori, razza di ipocriti, e dove dicono oscenità alle donne»; quando la Fallaci levò il suo grido più in alto, si scagliò sudi lei l'accusa di razzismo, il martello che serviva, ieri e oggi, a demolire la verità. Ventitrè anni dopo, siamo qui a fare i conti con la realtà dell'Islam: quello che la notte di Capodanno conquista il sagrato del Duomo di Milano sventolando bandiere con la mezzaluna e la stella, invocando Allah e offendendo l'Italia; quello che sequestra Cecilia Sala in Iran e la rinchiude in una prigione, trasformandola nella pedina di un intrigo internazionale, la sua riduzione a merce di scambio; lei per lui, questo è il suk iraniano, lei una giornalista, lui un complice del regime del terrore.
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