Un’attenuante che non esiste nei manuali di psicologia

Anna Vagli Salvatore Montefusco ha ucciso. Con freddezza, con metodo, con un fucile. Prima la moglie, Gabriela Trandafir, poi la figlia di lei, Renata. Due vite spezzate con colpi precisi, in una sequenza che non lascia spazio all’immaginazione. Nessuna ombra di confusione o perdita di controllo. Montefusco non si è nascosto, non è crollato in lacrime. Ha chiamato il suo avvocato, poi si è recato al bar. Alla domanda di un conoscente ha risposto con disarmante indifferenza: "Niente, ho ammazzato mia moglie e mia figlia". Eppure, per i giudici, non merita l’ergastolo. Ha agito in un momento di "blackout emozionale", ci dicono. Trent’anni bastano. Ma il blackout emozionale formalmente non esiste. Non nel DSM-5, non nei trattati di psicologia, non nelle aule di formazione dove si studiano i processi mentali.
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