Il piacione progressista multiuso diventato scomodo anche a sinistra

«Le parole sono pietre», il suo motto da nonno ammonitore ci mancherà. Furio Colombo ha trascorso gli ultimi dieci anni a citare Carlo Levi in tv dal soggiorno romano, guardato a vista dal busto di Alessandro Magno. Salvo scagliarle un attimo dopo, quelle pietre, con leggiadra veemenza su chiunque non la pensasse come lui. Nei collegamenti dal divano rococò non sapevi mai da quale ragionamento astruso sarebbe partito il cubo di porfido ma sapevi sempre dove sarebbe finito: sulla testa di Giorgia Meloni, di Matteo Salvini, di uno a caso del centrodestra. Meglio ancora su quella di Silvio Berlusconi, che ha continuato a mirare anche dopo morto. Un’ossessione. Ieri il patriarca del giornalismo militante di sinistra se n’è andato dopo una vita di successo, di incarichi, di ditini alzati e di salti della quaglia.
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