La morte di Yoshimitsu

Neve su Tait?. Il quartiere dei pidocchi è imbiancato. Yoshimitsu, steso a terra: guarda il quarto di luna crescente arcuato come l’artiglio del nibbio. Il vicolo in cui si è nascosto è buio, sporco di fango, budella di pesce. Fra due pattumiere colme di stracci e verdura marcia, cerca di muoversi meno che può. Il respiro, sotto la maschera aguzza del demone dei boschi, è pesante e graffiato. Dalla sottile apertura tra mento e collo sbuffano rivoli di condensa attorcigliati, come fili di fumo bianco.È ferito. Uno squarcio nel costato sinistro. La corazza d’argento opaco, oscura adesso che è notte, puntellata di remote gocce lunari, è valsa a poco.Prova a contenere emorragia e dolore: preme con la mano destra un punto preciso a metà della lacerazione, dove la ferita è più profonda. I primi rantoli, sciacquati dal vento freddo, arrivano come dal profondo di un pozzo.
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