Smontare e rimontare il Pd per continuare a perdere sempre

Dario Franceschini, giunto all’ennesima revisione politica della sua vita, come ha osservato Francesco Cundari, nell’intervista a Repubblica ha di fatto registrato l’impasse in cui si trova il Partito democratico. Dalla sua “officina-ufficio” ha smontato tutto il racconto di questi anni. Un bagno di realismo, si dirà, ma comunque la certificazione che tutto ciò che è stato detto, e tuttora viene detto, è carta straccia: non esiste e non esisterà una coalizione, non esiste e non esisterà un/a candidato/a premier (addio primarie, ma questo si era già capito), cari amici e compagni facciamocene una ragione, ognuno per sé e Dio per tutti.È un’intervista al tempo stessa lucida e disperante, una fotografia dell’inquietudine degli elefanti del partito, la vecchia guardia che con toni diversi da Romano Prodi a Paolo Gentiloni a Pierluigi Castagnetti e persino Pier Luigi Bersani, quando ha parlato di «due anni a pane e propaganda», vorrebbe un Partito democratico più competitivo, più in campo, e più aperto.
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