Non voglio credere che la fotografia italiana sia finita con Ghirri

“L’Italia forse è uno Stato, forse è una nazione, ma certamente è quel che gli artisti vedono” scrive Davide Rondoni nel fascicolo allegato alla benedetta ristampa di “Viaggio in Italia” (Quodlibet), il libro per me più importante della fotografia italiana, pubblicato nel 1984 per l’omonima, epocale mostra collettiva alla Pinacoteca Provinciale di Bari. Capo del collettivo era Luigi Ghirri, sue sono le foto più struggenti insieme a “Oviglio” di Vittore Fossati, “Fosso Ghiaia” di Guido Guidi, “Rimini” di Claude Nori, “Follonica” di Olivo Barbieri, “Napoli” di Mimmo Jodice, “Stigliano” di Mario Cresci. Ghirri e i Ghirriani hanno cambiato il modo di vedere l’Italia ma era il 1984, sono passati più di quarant’anni. A volte ho il sospetto che con la morte di Ghirri la fotografia italiana sia finita ed è un sospetto terribile e non ci voglio credere.
Non voglio credere che la fotografia italiana sia finita con Ghirri

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