I rossi di Girlan sfidano la Borgogna Schiava e Pinot Nero non sfigurano di fronte al Clos de la Roche

La differenza la noti già in vigna: da un lato grappoloni con chicchi tondi e grossi che pendono da una vecchia pergola; dell’altro acini piccoli e fragili, che sembrano disfarsi solo a guardarli, nascosti dal fogliame di una classica spalliera potata a guyot. È la contrapposizione tra l’autoctono nazional-popolare e il vitigno aristocratico par excellence: Schiava e Pinot Noir sono due dei molti volti di una regione che, dopo aver sfondato da Trieste in giù con i bianchi, comincia a giocarsi con più convinzione anche la carta dei rossi, in passato relegati nel mercato locale o nel segmento medio-basso nei paesi germanofoni. È un ritorno alle radici perché, molto prima che Sauvignon, Gewurztraminer, Pinot Bianco, Pinot Grigio e Chardonnay cominciassero a rubare la scena, la Schiava dominava la produzione, ricoprendo più o meno il 70% della superficie vitata altoatesina.
I rossi di Girlan sfidano la Borgogna  Schiava e Pinot Nero non sfigurano di fronte al Clos de la Roche

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