Il capitalismo familiare torni a essere protagonista dell’economia

Villoisera una volta un grande capitalismo italiano che investiva in imprese italiane e le rendeva internazionali, aprendo siti produttivi in ogni dove, ma la maggioranza delle produzioni, a cominciare dalla Fiat, erano in Italia e la grande banca Commerciale Italiana possedeva decine di sedi anche nei Paesi sotto dominio russo e fu con la stessa Fiat uno dei primi gruppi ad aprire nella Cina di Mao. Molte decine di altri grandi gruppi a capitale italiano seguivano le orme dei due citati e non solo di loro ma anche di Eni, la quale, per fortuna, ancor oggi veleggia in buona parte del Globo. Poi la Fiat iniziò un declino e Comit ebbe un analogo rallentamento finendo in mani estere, per poi sposarsi con San Paolo. Il meno 8% della produzione industriale dell’anno scorso, contro il meno del 5% di quella tedesca, fa emergere quanto le imprese industriali italiane, in grande misura di piccole e micro dimensioni, siano sempre solo più inserite in filiere ai cui vertici ci sono quasi sempre gruppi esteri che non hanno neppure rappresentanza in Italia o se ce l’anno non ha poteri decisionali.
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