Sperare è duro di questi tempi Lettera da un abisso

Passa e ripassa sui media l’immagine di Ariel e Kfir, il fratellino dai capelli rossi con il piccolo di nove mesi in braccio. Lui ha grandi occhi colmi ancora dello stupore dei neonati. Di quello sguardo che hanno i bambini a pochi mesi, sbalordito come chi venga da un altro pianeta, e tuttavia fiducioso. Fiducioso, perché, venuto al mondo, subito ha trovato il seno di sua madre, e il conosciuto battito del suo cuore. E ha saputo, della madre, il profumo della pelle, e il gusto del latte, e il calore dell’abbraccio. Tutto questo aveva conosciuto Kfir, a nove mesi di vita, su questa terra: perciò sorride così, in quella foto. Ora, si sa che a Gaza sono morti sotto le bombe decine di migliaia di bambini palestinesi. Non ne abbiamo le foto, ma certamente erano simili a Kfir e Ariel. Perché allora proprio l’immagine di quei due non se ne vuole andare dai miei occhi?  Perché, se è vero ciò che afferma Israele, loro non sono morti di bombe, ma li hanno uccisi: volontariamente.
Sperare è duro di questi tempi  Lettera da un abisso

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