‘Una lingua è tutto o non è’ | la rivoluzione di Alessandro Manzoni a 240 anni dalla nascita

In una lettera del febbraio 1847 all’accademico piemontese Giacinto Carena, esperto di nomenclatura scientifica, Alessandro Manzoni (Milano 1785-1873) scriveva senza esitazione: “Una lingua è un tutto, o non è”.La riflessione linguistica lo impegnava già fin dalla giovinezza, trascorsa tra Milano, la casa paterna di Caleotto, presso Lecco, e Parigi, dove la madre Giulia Beccaria si trasferisce insieme al conte Carlo Imbonati dopo la separazione da Pietro Manzoni. È proprio il confronto col francese – una lingua parlata e compresa da tutti, che si sente su tutte le scene teatrali – a far sì che l’italiano gli appaia, almeno fin dalla lettera all’amico Claude Fauriel del febbraio 1806, “quasi lingua morta”: una lingua serve, deve servire, in tutte le contingenze della vita, comprese quelle più quotidiane e prosaiche; e una lingua come l’italiano – che esiste solo nella realtà scritta ma non anche in quella parlata, dove si presenta frammentata in una pluralità di parlate regionali – non è capace di servire a questo scopo.
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