L' incredibile fenomeno di Langosteria che ha sparigliato tutti senza stella Michelin

Hanno vinto loro. Hanno vinto quelli che interpretano la ristorazione con pragmatismo imprenditoriale ma senza perdere il senso dell’ospitalità, che resta la chiave di tutto, alla fine. Hanno vinto quelli come Enrico Buonocore, gran signore della Langosteria, il marchio più citato nelle discussioni sul de profundis del fine dining, alla voce “e allora, la Lango?”. Perché bisognerà pure studiare per bene questo modello di business ristorativo, che unisce alcuni codici dell’alta cucina (ma solo alcuni) con quelli della cucina industriale, intesa nel senso “romitiano” del termine: ovvero quell’insieme di processi che rendono scalabile e riproducibile il benessere. Non è un caso che Buonocore ammetta di avere aperto ogni locale “perché i precedenti erano pieni”. Questo lo ha portato a essere il capofila di un progetto con quattro locali a Milano (la Langosteria originale al numero 10 di via Savona, che quest’anno diventa maggiorenne essendo stata aperta nel 2007, e poi Langosteria Bistrot in via privata Bobbio 2, Langosteria Café in Galleria del Corso, Langosteria Cucina sempre in via Savona), che diventeranno cinque con lo sbarco in Monte Napoleone, nel Palazzo Fendi in via di ristrutturazione (dovrebbe aprire a fine 2025).
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