Il para-ecumenismo di Serra non mi piace ma ci voleva

Il para-ecumenismo di Michele Serra, lo confesso, non mi piace. Non capisco mai quanto tutte le sue concessioni a obiezioni e obiettori molto più stupidi di lui o in palese malafede, o entrambe le cose, dipendano da scarso coraggio, se è lecito parlare di coraggio quando non è certo in gioco la vita – almeno non la propria – ma semmai qualche invito a cena, un po’ di insulti sui social network, nel peggiore dei casi una manciata di editoriali e vignette antipatizzanti. E quanto invece quella sua tendenza dipenda, più che dalla scarsa propensione al conflitto, da una sostanziale e inconfessata condivisione.In altre parole, mi chiedo sempre se le reali convinzioni di Serra siano migliori o peggiori di come lui ce le presenta; se la sua inveterata inclinazione a non carezzare mai contropelo una certa opinione pubblica di sinistra, o meglio un segmento molto preciso e delimitato di essa, corrispondente con assoluta esattezza ai suoi lettori, dipenda dal desiderio di convincere quante più persone possibile, sia pure al prezzo di edulcorare la sua posizione, o al contrario dal desiderio di cambiare il meno possibile, del modo di pensare di quelle persone e del suo felice rapporto con loro, concedendo il minimo indispensabile alla realtà delle cose e a quella che nonostante tutto anche a lui deve apparire la necessità del momento.
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