The Monkey ovvero dell’infanzia come incubo almeno secondo Stephen King

The Monkey è sinistro fin dall'incipit. C’è un rumore secco, ritmico, inquietante. Due bacchette sbattono su un tamburo, mosse dalle braccia rigide di una scimmietta giocattolo dagli occhi vitrei e dal sorriso beffardo. Un suono tutto sommato innocuo, infantile, che però nel contesto giusto — o sbagliato — diventa il segnale di un’apocalisse intima, personale, devastante. È così che si apre l'adattamento di uno dei racconti più sinistri e simbolici di Stephen King, diretto da Oz Perkins, già autore dell’acclamato Longlegs, e prodotto da James Wan, la mente dietro The Conjuring. Un progetto che, sin dalle sue fondamenta, respira l’aria di un ritorno: quello all’horror “Kinghiano” più psicologico e disturbante, dove non servono mostri, perché gli incubi veri nascono tra le mura di casa. E proprio questa è la chiave: il male, in King, non è spettacolare, non ha bisogno di fauci e artigli.
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