Nell’America profonda con il coraggio di Manuela
Manuela cara, il tuo romanzo d’esordio “L’incredibile storia di Callista Wood che morì otto volte” non mi è capitato fra le mani per caso. Io al caso non credo o, se proprio c’è, ce lo siamo architettato noi stessi. Il tuo libro sembra infatti disporre delle coordinate e le chiavi giuste per interpretare questo oscuro presente e la cronaca più recente. Siamo nel South Dakota, a pochi passi da una riserva indiana. In un locale è stata uccisa una giovane nativa, Callista Wood. Lo sceriffo che indaga raccoglie le confessioni di otto abitanti: ciascuno di loro si autodenuncia del delitto. Eppure. Eppure il mistero è ben lontano dall’essere risolto. C’è un suggerimento, fra le scuole di scrittura, che dice: racconta solo ciò di cui sai. Cosa può sapere allora, verrebbe da chiedersi, una scrittrice che è nata e vive a migliaia di chilometri da quei territori, con un oceano in mezzo, di riserve indiane? Come mai subisce il fascino della “frontiera”, di quelle distese sterminate e quasi deserte, regno di scoiattoli e procioni? Come se le frontiere e gli spazi deserti, l’isolamento, lo spaesamento e la violenza, si trovassero solo a certe latitudini.
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