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Il narratore si è già inoltrato nel flusso dei ricordi e nel ragionamento su ciò che sta facendo quando gli appare nitida la verità della propria situazione: “Lui, con l’incarico di occuparmi delle sue opere postume, aveva avuto l’intenzione di annientarmi”, dice dell’amico Roithamer; anzi, nell’ordine quello aveva voluto “annientare prima se stesso e sua sorella e poi annientare me”. Il comune amico d’infanzia Höller, un imbalsamatore, ha costruito per la sua famiglia una dimora nella gola dell’Aurach ed è nella soffitta di questa dimora, da Roithamer eletta a monadica stanza di lavoro, che nell’accademico a sua volta è germinato il disegno di un edificio inaudito da costruirsi al centro del Kobernausserwald. Il progetto dell’uno diventa condizione della trappola in cui l’altro finisce e adesso è il narratore senza nome a trovarsi nella soffitta insieme alle carte e ai libri di Roithamer, preso da un ultimo moto di esitazione e differimento (“Domattina mi avvicinerò alle opere di Roithamer, prima mi avvicinerò poi le esaminerò e le riordinerò”), se non di vero e proprio autosabotaggio, avendo maldestramente disordinato i fogli che doveva disporre sulla scrivania.
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