Il mio grande bellissimo odio

L’odio a cui fa riferimento la scrittrice svedese Victoria Benedictsson (1850-1888) è un sentimento misto di “rabbia” e “indignazione”, che la spinge a ribellarsi alla sua condizione di donna, predestinata a una vita squallida e sottomessa, nella scandinavia protestante della seconda metà dell’Ottoento. Grazie alla sensibilità di Elisabeth Asbrink scopriamo l’esistenza breve e tormentata di un’autrice oggetto di studio e di culto nel suo paese, ma mai pubblicata in Italia. La vita sofferta della Benedictsson, assai più delle sue opere, è al centro dell’indagine psicologica dell’autrice, che si concentra sulle origini, l’infelice matrimonio, la lotta per l’emancipazione e la fuga dall’ambiente desolato in cui è rinchiusa la donna, fino al tragico suicidio, a soli 38 anni, a Copenaghen. Dopo averle impedito di proseguire gli studi, il padre la manda in sposa troppo giovane a un uomo troppo vecchio, un vedovo modesto e sgradevole, padre di numerosi figli.
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