L enciclica che avrei tanto voluto che Francesco scrivesse
Trent’anni fa Sergio Quinzio – un’anima gentile e quasi fanciullesca che si era lasciata irretire da una delle varianti più diffuse e perniciose del kitsch spirituale, il sublime apocalittico-melodrammatico dostoevskiano – immaginò le encicliche dell’ultimo Papa, il Pietro II profetizzato intorno all’anno Mille dal monaco irlandese Malachia, e provò a scriverle di suo pugno nel terribile Mysterium iniquitatis, pubblicato da Adelphi nel 1995. La morte di Papa Bergoglio mi mette in una condizione simile alla sua. Confesso infatti di avere sperato, in questi anni, che Francesco scrivesse un’enciclica sull’umorismo come virtù del cristiano. I segnali c’erano tutti: l’incontro con i comici nel giugno dell’anno scorso, ma più ancora il consiglio con cui usava chiudere tanti incontri – lo ripeté alle suore di clausura, ai pellegrini spagnoli, ai ragazzi autistici, a Giorgia Meloni: “Non perdete mai il senso dell’umorismo”.
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