Omicidio Michelle Causo - sindacato Polizia Penitenziaria chiede indagine su cellulari in carcere

Pp - E' da tempo che, inascoltati, stiamo denunciando l'uso dalle celle dei telefonini, anche di ultima generazione tecnologica e quindi già dotati di rete internet, che colpisce prima di tutto le famiglie vittime di orrendi omicidi e di reati gravissimi.

Attualità - Svolgere "una rigorosa indagine" sull'uso dei cellulari in carcere. E' quanto ha chiesto il sindacato di Polizia Penitenziaria all'amministrazione penitenziaria, dopo la denuncia dei genitori di Michelle Causo, la 17enne uccisa un anno fa a Roma e gettata in un carrello della spesa accanto ai contenitori dell'immondizia, secondo i quali il ragazzo, accusato dell'omicidio, userebbe i social dal carcere minorile di Treviso, dove è recluso e avrebbe contatto in più occasioni diversi amici suoi e della figlia.  "La dichiarazione del sottosegretario Ostellari, che al pari del direttore del carcere di Treviso, escluderebbe la possibilità della rete internet nell’istituto, non basta - sottolinea all'Adnkronos Aldo Di Giacomo, segretario generale del S.Pp -.

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E' da tempo che, inascoltati, stiamo denunciando l'uso dalle celle dei telefonini, anche di ultima generazione tecnologica e quindi già dotati di rete internet, che colpisce prima di tutto le famiglie vittime di orrendi omicidi e di reati gravissimi". Il cingalese oggi diciottenne, trasferito nel carcere veneto, dove sta seguendo corsi di informatica, avrebbe effettuato diversi accessi al social Instagram cambiando di volta in volta profilo. Secondo i genitori di Michelle Causo avrebbe con quello contattato diverse amiche della vittima e ragazzi che credeva ancora suoi amici. Proprio da questi, però, è arrivata la segnalazione al papà della 17enne che ha poi fatto presente la cosa all'istituto penale.  Il segretario generale del S.pp.

(di Silvia Mancinelli)  

ricorda i numerosi casi scoperti, persino di video su TikTok, "come la performance dal carcere di Terni di tre detenuti campani appartenenti a un clan camorristico - ricorda Di Giacomo - diventati cantanti neomelodici, quella di noti rap a San Vittore o a Poggioreale-Napoli, con detenuti che mangiano un gelato e mostrano uno spinello sempre attraverso la piattaforma TikTok. Siamo di fronte a casi che provano che la cella del carcere è sempre più la location preferita per fare 'spettacolo' o per continuare a condizionare dalla detenzione persone e famiglie. Finalmente lo spettacolo dal carcere può essere interrotto con una condanna esemplare, come è accaduto nei confronti del detenuto di Secondigliano-Napoli sorpreso con il telefonino e condannato a 13 mesi di reclusione con rito abbreviato".

 "Ma ciò che più ci sconcerta – continua Di Giacomo – è che solo in queste occasioni i media scoprono l'acqua calda e cioè che nelle carceri sono diffusi i telefonini anche quelli più tecnologici, finiti persino nelle mani dei giovanissimi, oltre che di boss, capo clan e affiliati che hanno facile accesso ai social. Mettiamoci semplicemente nei panni di chi ha subito l'uccisione di una figlia come i genitori di Michelle, una violenza, una rapina che assiste alla presenza sui social dei responsabili per rendersi conto del sentimento di forte indignazione e più che legittima rabbia che serpeggia. Ma attenzione: se per i giovanissimi è 'tendenza', come sostengono magistrati anti mafia in trincea nella lotta alle mafie, l'uso dei social è, invece, dimostrazione di potere e contiene persino messaggi di comando inviati all’esterno".  "Ci sono già state indagini persino su summit mafiosi avvenuti in carcere via skype o comunque in collegamento telefonico.

Noi continuiamo a denunciarlo: dalle carceri l'uso disinvolto del telefonino non deve essere consentito per sbeffeggiare le famiglie delle vittime e, contemporaneamente, lo Stato", conclude il segretario. (di Silvia Mancinelli)  

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