Italia-Cina - Meloni chiude missione a Shanghai: centro nevralgico per le imprese italiane

 Con il ‘restyling’ del piano strategico risalente al 2004, Meloni vuole dimostrare che uscire dalla Via della Seta non lederà alla cooperazione con il Gigante asiatico, ma che si possono fare più affari e meglio anche fuori dalla Bri, vedi Francia e Germania.

Politica - Chiude il viaggio a Shanghai, centro nevralgico dell’economia e della finanza del gigante asiatico, tassello fondamentale del mercato cinese per le aziende italiane che muovono il loro business nel Dragone. Giorgia Meloni lascia la Cina dopo una missione di 4 giorni, tra le più lunghe da quando è al timone di Palazzo Chigi, per poi volare a Parigi, dove, ancora una volta con la figlia Ginevra al suo fianco, assisterà a una gara dei giochi olimpici per poi visitare Casa Italia.  Questa mattina, quando a Roma era notte fonda, la presidente del Consiglio ha avuto l’ultimo incontro istituzionale in agenda: ha visto il segretario del Partito comunista cinese della municipalità di Shanghai, Chen Jining, l’uomo destinato a scalare i vertici del Pcc muovendo proprio dalla città dove il partito è nato, nel 1921.

(dall'inviata Ileana Sciarra) 

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 La scelta di dividere la missione in due, prima Pechino e poi Shanghai, è finalizzata a spingere sull’acceleratore della cooperazione con la Cina, a poche ore dalla sigla del Piano d’azione triennale e delle sei intese con cui la premier mira a ricucire i rapporti dopo lo strappo sulla Via della Seta. E Shanghai, snodo finanziario di importanza mondiale, considerata la capitale del fashion in Oriente, può fare la differenza.  Le aziende italiane che operano in Cina sanno che la cittadina sul fiume Huangpu, la più popolosa del Dragone con i suoi 26 milioni di abitanti, è imprescindibile per fare affari nel Gigante asiatico. La dicono lunga i numeri snocciolati nell’incontro con Meloni da Jining, “A Shanghai ci sono quasi 1.200 imprese italiane”. Tanto che “l'interscambio Shanghai-Italia rappresenta quasi il 20% dell’interscambio totale tra Cina e Italia”, ha rimarcato l’esponente del Partito comunista cinese.

 “Il nostro obiettivo”, è tornata a ribadire Meloni, è “rafforzare la cooperazione tra le nostre azioni - cooperazione economica e commerciale, cooperazione culturale, cooperazione scientifica - e farlo in un'ottica anche di riequilibrio dei nostri rapporti, aiutare e sostenere le aziende italiane che già da tempo hanno deciso di investire in Cina e che, particolarmente a Shanghai, hanno contribuito allo sviluppo di questa straordinaria realtà”. La premier ha poi ricordato il gemellaggio Milano-Shanghai risalente al 1979, confermando di essere “molto soddisfatta” dai risultati messi a segno nella missione cinese.  Con il ‘restyling’ del piano strategico risalente al 2004, Meloni vuole dimostrare che uscire dalla Via della Seta non lederà alla cooperazione con il Gigante asiatico, ma che si possono fare più affari e meglio anche fuori dalla Bri, vedi Francia e Germania.

“La bilancia commerciale nel 2022, quando siamo arrivati noi – ha rimarcato ieri Meloni nell’incontro con la stampa - produceva un disavanzo per l'Italia di 41 miliardi di euro, quindi evidentemente non ha funzionato. Io ho sempre detto che l'Italia avrebbe dovuto uscire dalla Via della Seta e che questo non avrebbe compromesso i rapporti con la Cina”.  Se riuscirà a superare la delusione di Pechino, che con l’Italia ha visto uscire dalla Belt and Road Initiative l’unico Paese del G7 ad avere aderito, solo il tempo e il giro di affari Roma-Bejing potranno dirlo. Ma la tappa a Shanghai - dove la premier ha visitato il suggestivo Bund e la città vecchia risalente alla dinastia Ming - era una mossa decisiva da muovere sulla scacchiera della partita con la Cina. (dall'inviata Ileana Sciarra) 

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