Caso Yara - nessuna frode su provette dna: la decisione dopo denuncia Bossetti

 Se è vero che nel provvedimento di confisca la corte d'Assise fa riferimento alla non opportunità di provvedere, allo stato, alla distruzione dei reperti, e che il deposito degli stessi in luogo non dotato di congelatori ne avrebbe probabilmente alterato l'integrità, il cambio di luogo, dopo il verdetto definitivo, è solo una soluzione di prudenza da parte del giudice i cui costi economici - dopo la pronuncia della Cassazione sull'omicidio - le sarebbero potuti costare l'ipotesi di una responsabilità sotto il profilo contabile.

Attualità - Il gip di Venezia ha archiviato la posizione del pm Letizia Ruggeri, il pubblico ministero del caso Yara Gambirasio, indagata per frode processuale dopo la denuncia di Massimo Bossetti in merito alla cattiva conservazione di alcuni reperti del processo che portarono alla condanna all'ergastolo dell'imputato per l'omicidio della 13enne di Brembate.  Il gip Alberto Scaramuzza - lo stesso che aveva sollecitato approfondimenti sulla magistrata indagata per frode in processo e depistaggio - ha così dato ragione alla procura di Venezia che sollecitava l'archiviazione. Al centro della disputa c'era la conservazione dei 54 campioni di Dna - estratti dagli abiti di Yara e contenenti la traccia mista di vittima e carnefice - spostati dal frigo dell'ospedale San Raffaele all'ufficio Corpi di reato del tribunale di Bergamo.

caso yara

Un cambio di destinazione che interrompendo la catena del freddo (i reperti erano conservati a 80 gradi sotto zero) potrebbe aver compromesso il materiale biologico e la possibilità di nuove analisi. La decisione di Ruggeri di spostare le 54 provette contenenti il Dna misto al centro del processo sull'omicidio di Yara Gambirasio, per cui è stato condannato in via definitiva all'ergastolo Massimo Bossetti, "non è affatto un comportamento illegittimo o anomalo o deviante tale da far dedurre che fosse stato mosso da finalità diverse e illecite", scrive il gip. Il trasferimento sarebbe stato deciso dal pm senza attendere il provvedimento della corte d'Appello di Bergamo, giudice dell'esecuzione, ignorando l'allarme dei carabinieri sul rischio di deterioramento dei campioni di Dna e pregiudicando così la possibilità di un giudizio di revisione che la difesa da tempo persegue.

Nella scorsa udienza la procuratrice aggiunta di Venezia Paola Mossa aveva ribadito la sua tesi: Ruggeri ha agito con "correttezza", non mostrando "nessuna 'ansia di distruzione'". Se "è vero che nel provvedimento di confisca la corte d'Assise fa riferimento alla non opportunità di provvedere, allo stato, alla distruzione dei reperti, e che il deposito degli stessi in luogo non dotato di congelatori ne avrebbe probabilmente alterato l'integrità", il cambio di luogo, dopo il verdetto definitivo, è solo una "soluzione di prudenza da parte del giudice" i cui costi economici - dopo la pronuncia della Cassazione sull'omicidio - le sarebbero potuti costare "l'ipotesi di una responsabilità sotto il profilo contabile". Soprattutto "non vi era poi alcuna ragione perché la Ruggeri dovesse 'temere', così da volerlo impedire, il giudizio di revisione e con esso la possibilità di pervenire a un risultato diverso.

Ha agito in modo consapevole, in modo tale da rendere i reperti biologici inservibili per nuove indagini

La prova scientifica su cui si fonda il giudizio di responsabilità a carico del Bossetti è risultata assolutamente solida e non vi sono elementi per ritenere che accertamenti successivi e ulteriori possano inficiarla". Di opposto avviso la difesa di Bossetti che chiedeva il rinvio a giudizio della pm Ruggeri, la quale "nessun diritto aveva di distruggere i campioni (...). Ha agito in modo consapevole, in modo tale da rendere i reperti biologici inservibili per nuove indagini". Così, a dire dell'avvocato Claudio Salvagni, avrebbe messo in atto "un'attività criminale, un abuso inaccettabile, una violenza gratuita" distruggendo i campioni di Dna che hanno portato alla condanna di Bossetti e che, "se sottoposti a nuovo esame (ancora possibile in stato di corretta conservazione come affermato dai consulenti tecnici Lago e Casari al pm di Venezia), avrebbero potuto scagionarlo".

Quei reperti "sono stati distrutti non per caso fortuito o forza maggiore", ma da "un'attività ordinata da chi quei reperti li doveva, per legge, custodire" per il timore che quel Dna "non avrebbe restituito il medesimo risultato, 'smontando' così, una inchiesta dai costi esorbitanti". Dalle stesse dichiarazioni spontanee rese dall'indagata al pm di Venezia il 13 febbraio del 2023 emerge come "si era formata il preciso convincimento, più volte ribadito, che le eventuali nuove analisi sul Dna mitocondriale non avrebbero comunque potuto mettere in discussione l'individuazione certa del Bossetti avvenuta sulla base del Dna nucleare", convincimento formato "sulla base delle sentenze di merito di primo e secondo grado, confermate dalla Cassazione".

Per il giudice gli esiti delle analisi effettuate in fase di indagini, che hanno portato all'individuazione di Bossetti quale Ignoto 1 sulla base del Dna nucleare, "potevano legittimare l'indagata a formarsi il pieno convincimento dell'indiscutibilità della prova raggiunta" e dunque spostare le provette non ha come fine quello di 'distruggere' l'unica prova con cui il condannato potrebbe provare a riaprire il caso, ma piuttosto nasce dalla convinzione "che l'esito raggiunto dagli accertamenti tecnici in fase di indagini preliminari sulla base del Dna nucleare non potesse essere comunque messo in discussione da ulteriori analisi sul Dna mitocondriale". Inoltre, il fatto che Letizia Ruggeri fosse stata "silente per tutto il processo in relazione a quelle 54 provette non è da ricondursi a un doloso intendimento del pm di nasconderle ai giudici per impedire l'analisi, ma è da ricondursi alla considerazione da parte del pm della loro irrilevanza, tenuto conto degli esiti già acquisiti".

Il fatto che l'indagata abbia ammesso, davanti al pm di Venezia, che fosse un fatto notorio che la difesa Bossetti avesse intenzione di chiedere la revisione non sposta i termini della questione poiché bisognerebbe dimostrare che la pm era a conoscenza che eventuali nuove analisi su quelle 54 provette avrebbero potuto ribaltare gli esiti del processo, mentre "risulta invece il contrario" per cui Letizia Ruggeri "non poteva essere mossa da alcun dolo specifico di inquinamento probatorio". Una valutazione che porta a rendere altamente improbabile la previsione di condanna e che inducono il gip di Venezia all'archiviazione.   

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