Migranti, primi arrivi in Albania con la nave Libra
La nave Libra della Marina Militare Italiana è attraccata al porto di Shengjin, in Albania, portando a bordo i primi 16 migranti provenienti da due diverse imbarcazioni soccorse nel Mediterraneo. Questi migranti, 10 egiziani e 6 bengalesi, erano stati salvati il 13 ottobre da due gommoni partiti da Sabratha e Zuara, in Libia. L'operazione è parte di un accordo tra Italia e Albania volto a gestire i flussi migratori, attraverso lo spostamento dei migranti in centri di accoglienza gestiti dall’Italia, ma situati in territorio albanese.
I migranti sono stati condotti nell'hotspot di Shengjin per le prime procedure di identificazione e controlli sanitari, come previsto dai protocolli di sicurezza. Coloro che saranno soggetti a misure di rimpatrio o a provvedimenti restrittivi saranno trasferiti successivamente al Cpr (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) di Gjader, a circa 22 chilometri di distanza dal porto. Questa struttura è stata recentemente ultimata e ha una capacità di accogliere fino a 3.000 persone, con un complesso sistema di sicurezza interno ed esterno gestito in collaborazione tra le forze di polizia italiane e albanesi.
L’accordo bilaterale, firmato nel novembre 2023 tra la presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni e il primo ministro albanese Edi Rama, ha l’obiettivo di contrastare il traffico di esseri umani e di gestire i flussi migratori in modo più efficiente, riducendo la pressione sui centri di accoglienza italiani. I migranti trasferiti in Albania avranno il diritto di richiedere asilo in Italia, con tempi di esame delle domande che dovrebbero durare circa 28 giorni. Le strutture sono finanziate dall'Italia, con un costo previsto di circa 670 milioni di euro per i prossimi cinque anni, e includono alloggi, servizi medici e un sistema di detenzione per chi non ha diritto alla protezione internazionale.
Questa operazione rappresenta uno dei primi passi di un progetto più ampio volto a decentralizzare la gestione dei migranti in Europa, attraverso l’apertura di nuovi centri in paesi non appartenenti all’Unione Europea.
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