Donald Trump intensifica la politica dei dazi: i Paesi nel mirino
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sta sollecitando i suoi consiglieri ad adottare misure più aggressive in materia di dazi in vista del 2 aprile, da lui denominato "Giorno della Liberazione", prevedendo una significativa escalation nella guerra commerciale globale. Nonostante le esortazioni alla cautela da parte di Wall Street e del Congresso, Trump appare determinato a trasformare l'economia statunitense attraverso misure protezionistiche.
Le discussioni interne all'amministrazione riguardano l'entità dei nuovi dazi, con l'ipotesi di applicare tariffe sui prodotti provenienti dal 15% dei Paesi considerati i peggiori partner commerciali degli Stati Uniti, responsabili di quasi il 90% delle importazioni. Trump ha già imposto un dazio del 25% su tutte le importazioni di automobili e ha suggerito misure simili per i settori farmaceutico e del legname, causando un calo nei mercati azionari e aumentando il rischio di recessione, secondo gli economisti. Il presidente sta anche valutando l'introduzione di un dazio universale sulla maggior parte delle importazioni, ritenendo che tali misure riporteranno posti di lavoro nel settore manifatturiero e genereranno entrate per le casse federali.

In passato, Trump ha espresso rammarico per non aver imposto tariffe più elevate durante il suo primo mandato. Ha definito i dazi la "parola più bella" del dizionario e sostiene che nel XIX secolo portarono il Paese al massimo della prosperità. Alcuni alleati hanno proposto di trasformare il 2 aprile in una festa nazionale. Steve Bannon, ex consigliere del presidente, ha dichiarato: "Invece del compleanno di Trump, rendiamo il 'Giorno della Liberazione' una festa nazionale per onorare i posti di lavoro e le competenze tornate in America".
Ma esistono dubbi e preoccupazioni tra i repubblicani al Congresso, gli alleati internazionali e gli investitori. Le divisioni interne all'amministrazione sono evidenti: alcuni vedono i dazi come uno strumento temporaneo per ottenere concessioni dai partner commerciali, mentre altri li considerano un mezzo permanente per incentivare il trasferimento della produzione negli Stati Uniti. In campagna elettorale, Trump si era espresso in modo vago, permettendo a entrambi gli schieramenti di credere che avrebbe sostenuto le loro visioni. Ora, però, le divergenze stanno emergendo con maggiore chiarezza. Erica York della Tax Foundation ha osservato: "A un certo punto dovranno scegliere una strategia, perché alcuni degli obiettivi dichiarati sono in contraddizione tra loro".
Alcuni repubblicani temono che i dazi possano compromettere l'estensione dei tagli fiscali del 2017, una priorità per il partito. Stephen Moore, storico alleato di Trump, ha affermato: "Stiamo cercando di dissuadere Trump da questi dazi protezionistici. Il rischio è che i dazi oscurino la questione fiscale". Altri deputati repubblicani, come il senatore John Hoeven, hanno espresso preoccupazioni per l'impatto sui produttori agricoli, mentre il senatore Ron Johnson ha avvertito che le tariffe potrebbero avere "effetti molto dannosi".
Nonostante le critiche, Trump rimane determinato a procedere con la sua strategia. Alcuni gruppi scettici sul libero commercio, come la Coalition for a Prosperous America, sostengono tariffe permanenti del 18% su tutte le importazioni, affermando che "una tariffa reciproca usata solo come strumento negoziale contraddice il desiderio del presidente di ricostruire il settore industriale americano", come dichiarato da Nick Iacovella, vicepresidente dell'organizzazione. Trump ha ribadito che i dazi comporteranno "dolore a breve termine" per l'economia statunitense, ma non saranno facilmente revocati. Ha scritto su Truth Social: "Il Giorno della Liberazione sta arrivando in America, presto. Per anni siamo stati derubati da quasi ogni Paese del mondo, amici o nemici. Ma quei giorni sono finiti".
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