Curiosità e significato della soluzione Ufficialitã 

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Le lingue dell'Italia costituiscono uno dei più ricchi e variegati patrimoni linguistici all'interno del panorama europeo.

Le complesse vicende storiche del paese hanno portato infatti ad un esteso multilinguismo, risultante da circa dieci secoli di divisioni politiche e diversità culturali; questa peculiarità non è data solo dalla coesistenza tra la lingua italiana e le minoranze linguistiche alloglotte (stanziate lungo i confini settentrionali o in zone di antichi insediamenti centro-meridionali), ma è dovuta anche alla presenza di tre lingue minoritarie autoctone, sviluppatesi in isolamento rispetto alle aree linguistiche vicine, e all’esistenza di diverse lingue non ufficiali e non standardizzate ancora definite “dialetti” dalla maggior parte della popolazione e delle istituzioni (comprese quelle accademiche), e poste in rapporto di diglossia con l’italiano.

Graziadio Isaia Ascoli, nel ‘’Proemio” del primo volume dell’Archivio glottologico italiano, negli anni 70 del XIX secolo, osservava che alla frammentazione linguistica del paese corrispondeva la secolare mancanza di una capitale accentratrice capace di promuovere un modello linguistico di riferimento per gli altri territori, contrariamente a quanto avvenuto precedentemente in Francia; oltre a ciò, il glottologo ravvisava l’assenza in Italia di un movimento religioso e culturale, quale fu la Riforma protestante per la Germania, che permise la circolazione di una lingua omogenea e la diffusione dell’istruzione elementare pur in assenza di un’unione politica e pur esistendo in quel paese una divisione delle Chiese. A tali considerazioni, nel XX secolo, Tullio De Mauro aggiungeva questioni geografiche: non solo i confini politico-amministrativi tra gli stati preunitari, ma anche la discontinuità paesaggistica e naturale avrebbero condizionato i particolarismi regionali e dunque ostacolato l’espansione di una lingua nazionale, favorendo invece l’abbondanza di idiomi locali fortemente differenziati gli uni dagli altri.

Ad eccezione di taluni idiomi stranieri legati ai moderni flussi migratori, le lingue che vi si parlano comunemente sono in via esclusiva di ceppo indoeuropeo e appartenenti in larga prevalenza alla famiglia delle lingue romanze; sono presenti, altresì, varietà albanesi, germaniche, greche e slave.

La lingua ufficiale (de iure) della Repubblica Italiana, l'italiano, discende storicamente dalla variante letteraria del volgare toscano, il cui uso in letteratura è iniziato con le cosiddette "Tre Corone" (Dante, Petrarca e Boccaccio) verso il XIII secolo, e si è in seguito evoluto storicamente nella lingua italiana moderna; questa, con l'eccezione di alcune aree di più tarda italianizzazione, sarebbe stata ufficialmente adottata come codice linguistico di prestigio presso i vari Stati preunitari a partire dal XVI secolo.

Ciononostante, la lingua italiana, utilizzata in letteratura e nell'amministrazione in maniera principalmente scritta, al momento dell'unificazione politica di gran parte dell'Italia nel Regno sabaudo, nel 1860, era parlata da una minoranza della popolazione costituita fondamentalmente dalle classi colte o semplicemente istruite: secondo De Mauro gli italofoni ammontavano al 2,5%, mentre Arrigo Castellani ne stimava un 10%. Essa poté in seguito diffondersi tra le masse popolari mediante l'istruzione obbligatoria, l’urbanesimo, le migrazioni interne, la burocrazia, il servizio militare e i mezzi di comunicazione di massa (a stampa e audiovisivi).

Sino all'emanazione della legge 482/99, l'avvento della televisione vide escluso l'uso dei dialetti e delle lingue di minoranza, salvo quanto previsto dagli accordi internazionali sottoscritti dall'Italia dopo la seconda guerra mondiale a favore delle minoranze linguistiche tedesca della provincia di Bolzano, slovena della regione Friuli-Venezia Giulia e francese della Valle d'Aosta.

Dal punto di vista degli idiomi locali preesistenti esclusivamente nel parlato, ne consegue un processo di erosione linguistica e di minorizzazione, processo accelerato sensibilmente dall'ampia disponibilità di mezzi di comunicazione di massa in lingua italiana e dalla mobilità della popolazione, oltre ad una scarsa volontà politica di riconoscere una minima valenza culturale ai "dialetti". Questo tipo di cambiamenti e volontà politica ha ridotto sensibilmente l'uso degli idiomi locali, molti dei quali sono ormai considerati in pericolo di estinzione, principalmente a causa dell'avanzare della lingua italiana anche nell'ambito strettamente sociale e relazionale.

La normativa prevede invece la tutela delle minoranze linguistiche, soprattutto attraverso l'articolo 6 della Costituzione (La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.) e la legge 482/1999 (... la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo). La stessa legge 482/99 prevede anche l'obbligo, in capo alla RAI, di trasmettere anche nelle lingue delle dodici minoranze linguistiche.

Secondo Tullio De Mauro, il plurilinguismo "italiano più dialetti o una delle tredici lingue di minoranza" (egli vi includeva anche il romaní, poi escluso dall'art. 2 della L. 482/1999 perché privo dell'elemento della "territorialità") gioca un ruolo positivo in quanto «i ragazzi che parlano costantemente e solo italiano hanno punteggi meno brillanti di ragazzi che hanno anche qualche rapporto con la realtà dialettale».

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